La Chiesa e il Convento di S. Maria delle Grazie e il Cenacolo
Lo scrigno ed il tesoro, due gemme preziose entrate di diritto nel ristretto elenco di siti patrimonio dell’Umanità, la Chiesa e il convento Domenicano di Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo di Leonardo da Vinci stati tra i primissimi beni italiani premiati dall’Unesco nel 1980, secondi solo alle incisioni rupestri della Valcamonica. Già solo il monumentale convento, progettato dall’ingegnere ed architetto svizzero Guiniforte Solari, che rappresenta una delle più importanti e significative realizzazioni del rinascimento, meriterebbe una visita per i suoi dipinti e le sue decorazioni. Per decorare il grande edificio, in cui si mescolano anche interventi successivi progettati dal Bramante, opere di Cristoforo Solari, fu necessario più di un secolo di lavoro di decine di pittori.
Su tutti gli affreschi, però, ne spicca uno che, peraltro, ha anche condizionato il progetto dell’edificio. Il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie ospita, conserva, protegge, custodisce come uno scrigno, una delle più mirabili opere dell’ingegno umano dove il genio di Leonardo Da Vinci ha fuso l’arte sopraffina e l’ingegno di soluzioni tecniche rivoluzionarie ed all’avanguardia per quei tempi. Sul finire del 1400 il talento del rinascimento italiano realizzò un affresco, il Cenacolo, considerata la più famosa rappresentazione dell’Ultima Cena di Gesù.
L’affresco, che miracolosamente si è salvato grazie ad una protezione fatta con sacchi di sabbia dai bombardamenti anglo-americani del 1943 che distrussero diversi muri della chiesa e del convento tra cui anche parte del refettorio, non solo è un mirabile dipinto che, giocando sulla luce e sulla prospettiva con l’utilizzo di diverse tecniche pittoriche, costituisce un insieme incredibile di figure ammirate e studiate ancora oggi. Leonardo Da Vinci realizzò il grande dipinto con una nuova tecnica, di sua invenzione, non come i normali affreschi, che imponevano veloci stesure dell’intonaco che si asciugava rapidamente, ma mescolando tempera ed olio, sovrapponendo due strati di intonaco per ottenere una superficie liscia e levigata. Col passare dei secoli, però, l’umidità dei muri del refettorio provocò un distacco del dipinto e, arrivando ai giorni nostri, l’opera fu oggetto di uno dei più lunghi e certosini restauri di sempre durato 21 anni, tra gli anni ’70 ed i ’90, con le più avanzate tecnologie di allora.